mercoledì 15 febbraio 2012

Una piega ebraica nel testo di Giampaolo Lai.

Leggere Giampaolo Lai (1999) è leggere il libro, è leggere la lettera, è leggere l’ in-linearità del tempo.  Leggere è leggerlo alla cifra, con l’esperienza religiosa.
-La terra , il fango, il mare-  sono accenti che s’accordano con il Genesi e con la topologia rappresentata da Lacan. La lettura s’accosta alla Genesi ebraica: Breshit tradotto come l’inizio, il cominciamento anteriore.  L’inizio per l’ebreo è in-lineare, mentre per il greco l’inizio circola. Il tempo è un cerchio chiuso come scrive Platone nel Timeo. 

G. Lai riferisce la questione della terra dove vi si rintracciano le questioni intorno la diversità e la divisione.  “Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita” in ebraico Adam è terrestre, Adamah è terra. La polvere di terra. Quindi intanto la polvere.

La mia lettura intorno la questione è originaria, è una lettura non specialistica.
L’incontro è tra la dimensione del deserto e la polvere.
“Migba” in ebraico non è il vuoto del deserto come la lettura italiana propone, esso è la “parola”. Il deserto parla, la sabbia parla.
La sabbia è originaria della parola, del cibo che, come la Bibbia vuole insegnare all’uomo è alimento, vita. L’infinito, l’otto.

L’uomo è artefice della sua vita, la sua volontà si trova sempre sul livello della costruzione permanente di tale. Artista delle sue regole, delle sue parole, egli le ricerca perché sono fondazione di una Torah personale che risalgono all’origine: il libro fondatore.

Lo sguardo e lo specchio sono questioni importanti per leggere Giampaolo Lai con l’ebraismo.
Per l’ebreo il mondo non si fonda né ha fondamento nell’immagine, nell’imago di Lacan, ma piuttosto, per mezzo della costruzione e della modulazione, esso s’incontra con l’infinito.
La tensione compiuto-incompiuto, il continuo movimento, viene letto nel testo Biblico de –Il cantico dei cantici- dove un ragazzo e una ragazza non trovano mai l’incontro perché nel istante in cui lui la raggiunge, lei fugge.

L’inconciliabile trova la posizione impossibile di Dio, dell’infinito, dell’uomo, dove la funzione della ricerca di se stesso, procede da se stesso.
La ricerca verso se stessi è la ricerca della terra, dello spazio, dell’infinito che si elabora davanti o dietro noi stessi nella parola originaria.

Una volta però approdati sulle nostre terre della ricchezza inaudita, senza abiti e senza nome, gli stranieri venuti dal fango e dal mare, diventano lo specchio allucinato dell’anima”
Lo specchio allucinato dell’anima è la posizione impossibile dell’infinito, la posizione del padre.

Nel Genesi, Breschit, l’inizio anteriore, non vi è imitazione, non vi è ricreazione, ma incontro tra l’intelligenza, la tecnica e lo sguardo anteriore entro cui l’intervallo trova ritmo sull’aldilà del tempo, sul tempo dell’origine.
Adamo nel giardino terrestre nomina le cose per la prima volta. Esso chiama se stesso con il migba.

Quindi una nota d’accordo per introdurre alla lettura del testo di Giampaolo Lai è intorno a ciò che non è. Non è il discorso d’identità e della dis-identità; non è nemmeno il discorso dell’an-indentità, piuttosto si tratta di leggere la parola, l’anima, lo specchio allucinato, l’atomo, che il demiurgo ha arrangiato -rafforzato- in materia intellettuale. 

Francis

1 commento:

  1. in materia di fango e di mare apporteremo una nota il più presto possibile.

    RispondiElimina