Il luogo
della scenografia è il luogo della scrittura della scena, la scrittura della
parola che trova cittadinanza e terra nella sua impresa intellettuale.
L’impresa
intellettuale è il diritto delle donne. La questione donne come diversità e
indice dall’anonimato. Il discorso
religioso, il discorso biblico, è il discorso dell’uguaglianza misurata. Quella
tagliata su misura della donna che, come soggetto ideale veste la divisa, se
non la divisione mortale, quella di Aristotele, secondo cui ogni uomo è mortale.
Per
estensione nel discorso occidentale, ogni donna è mortale, come nel mito delle
tre Parche, quelle streghe che tramano sul filo della vita, la morte. E allora la morte si fa soggetto, si fa
donna in divisa, la quale deve essere umanizzata e arruolata, sotto il
controllo del Padre, perché il male.
Le donne sono il
male, il peccato, l’incesto, questo il discorso dell’Islam, non di certo la
parola Islamica, dove il testo,
l’analisi sul testo, la lettura trova elementi nel proprio idioma.
Lo
specifico, il particolare, architettura la legge secondo il proprio idioma,
edificando il proprio monoteismo. Il monoteismo dell’islam è il monoteismo
dell’anima, quello della parola dove le donne e gli uomini non sono mortali.
Le donne
sono nella parola e divengo dispositivo intellettuale, senza bisogno di delega
o nomina del padre, nel Nome-del-Padre.
La
morfologia è ancora morfologia del padre, entro cui la paura s’assoggetta, si
anima e s’animalizza; nutrendosi, essa si nutre dell’altro elevandosi
uni-versalmente, fino a divorarsi da sola. La paura si fa mimetica e gira in tondo nominandosi Reale.
La paura
imperiale, la paura Regale, è paura del diritto privato.
Il diritto è
il luogo dove il nome funziona. È il luogo dell’innominabile e dell’anonimo,
che non si lascia divorare dal conformismo anima-le.
La donna come
animale fantastico, rappresentazione dell’Altro, buono o cattivo, vittima o
carnefice, riempie i copioni di ogni commedia, quando non sfocia in tragedia.
La politica
dell’islam è la sua cartografia impossibile, altrimenti la carta d’identità di
Platone: “dimmi cosa pensi e ti dirò chi
sei”.
Impossibile già
dire Isacco chi è, impossibile già dire Abramo chi è, ugualmente con Giacobbe
che, s’accorda con la parola e la voce dei fratelli. La politica di Giacobbe è
tonale, è un accento linguistico.
In Islam dimorano i toni dell’anima, i toni delle donne, entro cui diritto, storia e
geografia s’accordano, attraverso la narrazione, con Dio, il Nome e la
Legge, -l’Ebraismo-; e il Figlio, l’Etica, il Fare, -il Cristianesimo-; e nella
logica diadica e triadica, la dissidenza, l’errore, l’erranza, l’errante, il
capitale della vita trova piacere.
La religione è un
impegno, la rivoluzione è della parola. La politica è un compromesso, altra cosa è la politica della parola.
La tragedia, la
non-identità, per dirlo con Giampaolo lai, esige l’inconciliabile, tra ciò ch’è
identico e ciò ch’è non identico, l’anomalia.
La catacresi, la
politica dello squarcio, non si misura sul taglio, sulla tagliata grigliata e
affettata come la repubblica, ma s’apre alla dimensione diplomatica. La dimensione delle donne Islamiche, segretarie
di legazioni, note amministrative, favole, racconti e narrazioni.
Amministratici d'appunti, lettere, battute, aneddoti e romanzi, il cui
capitale della vita trova il Nobel per la Pace.
Francis.
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