sabato 25 febbraio 2012

L’ISLAMISMO.

L’Islam è il luogo dove la scenografia funziona.  Esso è il luogo altro, il luogo del figlio, non già quello dell’etica e della legge, ma il luogo dell’astuzia della parola. Il luogo dell’anima.
Il luogo della scenografia è il luogo della scrittura della scena, la scrittura della parola che trova cittadinanza e terra nella sua impresa intellettuale.

L’impresa intellettuale è il diritto delle donne. La questione donne come diversità e indice dall’anonimato.  Il discorso religioso, il discorso biblico, è il discorso dell’uguaglianza misurata. Quella tagliata su misura della donna che, come soggetto ideale veste la divisa, se non la divisione mortale, quella di Aristotele, secondo cui ogni uomo è mortale.  

Per estensione nel discorso occidentale, ogni donna è mortale, come nel mito delle tre Parche, quelle streghe che tramano sul filo della vita, la morte.  E allora la morte si fa soggetto, si fa donna in divisa, la quale deve essere umanizzata e arruolata, sotto il controllo del Padre, perché il male.

Le donne sono il male, il peccato, l’incesto, questo il discorso dell’Islam, non di certo la parola Islamica,  dove il testo, l’analisi sul testo, la lettura trova elementi nel proprio idioma.
Lo specifico, il particolare, architettura la legge secondo il proprio idioma, edificando il proprio monoteismo. Il monoteismo dell’islam è il monoteismo dell’anima, quello della parola dove le donne e gli uomini non sono mortali.

Le donne sono nella parola e divengo dispositivo intellettuale, senza bisogno di delega o nomina del padre, nel Nome-del-Padre.

La morfologia è ancora morfologia del padre, entro cui la paura s’assoggetta, si anima e s’animalizza; nutrendosi, essa si nutre dell’altro elevandosi uni-versalmente, fino a divorarsi da sola.  La paura si fa mimetica e gira in tondo nominandosi Reale.

La paura imperiale, la paura Regale, è paura del diritto privato.

Il diritto è il luogo dove il nome funziona. È il luogo dell’innominabile e dell’anonimo, che non si lascia divorare dal conformismo anima-le.  
La donna come animale fantastico, rappresentazione dell’Altro, buono o cattivo, vittima o carnefice, riempie i copioni di ogni commedia, quando non sfocia in tragedia.

La politica dell’islam è la sua cartografia impossibile, altrimenti la carta d’identità di Platone: “dimmi cosa pensi e ti dirò chi sei”.  

Impossibile già dire Isacco chi è, impossibile già dire Abramo chi è, ugualmente con Giacobbe che, s’accorda con la parola e la voce dei fratelli. La politica di Giacobbe è tonale, è un accento linguistico.

In Islam dimorano i toni dell’anima, i toni delle donne, entro cui diritto, storia e geografia s’accordano, attraverso la narrazione, con Dio, il Nome e la Legge, -l’Ebraismo-; e il Figlio, l’Etica, il Fare, -il Cristianesimo-; e nella logica diadica e triadica, la dissidenza, l’errore, l’erranza, l’errante, il capitale della vita trova piacere.

La religione è un impegno, la rivoluzione è della parola.  La politica è un compromesso, altra cosa è la politica della parola.
La tragedia, la non-identità, per dirlo con Giampaolo lai, esige l’inconciliabile, tra ciò ch’è identico e ciò ch’è non identico, l’anomalia.

La catacresi, la politica dello squarcio, non si misura sul taglio, sulla tagliata grigliata e affettata come la repubblica, ma s’apre alla dimensione diplomatica.  La dimensione delle donne Islamiche, segretarie di legazioni, note amministrative, favole, racconti e narrazioni. Amministratici d'appunti, lettere, battute, aneddoti e romanzi, il cui capitale della vita trova il Nobel per la Pace.

Francis.

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