giovedì 23 febbraio 2012

IL CRISTIANESIMO.

“Gesù, crocefisso, morì e fu sepolto, poi resuscitato aprì le porte del paradiso in remissione dei peccati”.
Il cristianesimo guarda Gesù cristo come dio fatto Uomo. Quindi ancora prima che il Figlio si faccia uomo, viene posto in origine lo statuto dell’uomo, il quale segue nel suo atto, nell’Esodo, una sua etica.

L’uomo Mosè è sembiante, è oggetto di parola che guida il popolo alla liberazione.
L’uomo Gesù è il tempo e afferma, secondo l’occorrenza, che non c’è da aspettare per operare.

La sua opera trova cittadinanza nella sua parola, il suo atto. La sua impresa.

Il cristiano ha l’obbligo di edificare il suo monoteismo stretto, per dirlo con Freud, perché non c’è più tempo da perdere, il suo incedere è il suo Pentateuco personale.

L’opportunità qui trova la remissione dei peccati dove, annotando una lettura giudeo-romana, quindi tra l’ebraismo e il cattolicesimo, si segna l’accordo sui primi tre comandamenti: la santificazione del Nome.

Il principio di vita, il principio di parola, il principio di Verbo. Tolta la causa, tolto il Nome è tolta la provocazione della parola con i suoi effetti che, circolando, l’itinerario di vita, diviene itinerario canonico.

La canonizzazione è amore per l’ortodossia, quella di Lutero, che accusa il cattolicesimo di eresia, selezionando così chi è dentro e è chi fuori dalla sua chiesa. Il principio di terzo escluso, nato in Grecia con Aristotele.

Per lo stesso principio il luogo comune si veste nell’immagine laicista e ateista, che non intendendo per nulla la questione intorno il nome di Dio, si condanna a essere la sostanza di una nova comunità/civiltà, di un insieme entro cui, l’uni-verso, si rinchiude su una sola versione dei fatti.

Per questa “nuova”canonizzazione, la scienza della parola è esclusa, mentre l’epistemologia si limita sulla tecnica discorsiva, quella dove tutto è politicamente corretto.  

Questo è il fantasma del monoteismo epistemico, dove la caccia agli ebrei trova la sua giustificazione.

La giustificazione afferma ciò che sta dentro e ciò che sta fuori, ciò che è pieno e ciò che è vuoto, per riempirsi di nulla fino alla morte. Si tratta quindi di leggere il fantasma di presunzione entro cui, la teoria, rimane implicita al soggetto.

L’occorrenza è sempre seconda, perché quadratura del cerchio naturale. Essa è rinascimento, che teorizza quel che dell’esperienza si scrive: il nutrimento intellettuale.
La rinascita di Cristo quindi deve essere letta come apertura, non su una vita dopo la morte che, il cristianesimo attende da mille anni con il messia, ma come fede che restituisce per astrazione un’ipotesi pragmatica, etica.

L’identità e l’integrazione sono due monoteismi, il regno di Dio: la voce; e il regno del Figlio, la parola, entrambi e ciascuno nella sua funzione, dall’inconciliabile, trovano l’apertura intellettuale.  La piega e la scrittura.

Così nel rischio e nell’azzardo i due fratelli, Ebraismo e Cristianesimo partecipano alla costruzione della civiltà, entro cui il terzo l’Islamismo non è escluso.

Questa è la nostra impresa intellettuale: la questione ebraica che introduce Dio, il Nome e la Legge; la questione Cristiana che introduce il Figlio, l’Etica, il Fare; e la questione Islamica, ch’è Islamica e altra cosa dalla questione Ebraica e dalla questione Cristiana, l’altro figlio. A queste tre s’opera un più zero, la questione indiana: la silente traccia.  

Francis

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