giovedì 3 maggio 2012

Io sono il tempo, io sono l’Altro

Ecco l’uomo e la donna, definiti e scolpiti, intagliati nella carne e geometrizzati sulla gola: l'algebra del peccato!

Il malinteso è la via del giardino del tempo. Ineliminabile il malinteso. Impossibile a togliere. Se, altrimenti, si togliesse, la lingua diverrebbe lingua conforme. Lingua sociale. Società linguistica. Un società tagliata sulla parola. Tagliata sull’altro che deve rientrare nei cardini di una trattativa. Nei cardini di una nazione che dialoga con finalità d’intesa. Da qui due nazioni, due luoghi geometrici. Due luoghi topologici dove, il diritto è trattato sull’altro.

L’unilingua, questo è chiaro nell’idea comune. L’educazione al ben parlato. Alla bella parola che, si formalizza e si politicizza. Allora, la parola politica, come il voto politico, è l’animale fantastico dell’occidente. Del discorso occidentale: un marchio ch’è già dato dalla logica del gene; dalla clonazione, o per dirlo con il Genesi, da I saperi di Giuda: io so , che tu sai, che io so, perché, Io come l’Altro, secondo le agenzie delle competenze.

Il discorso schizofrenico privilegia la lingua fina, giungendo all’eloquio in punta di forchetta scrive Armando Verdiglione. E la materia della politica del fantasma schizofrenico, s’intende di palati fini.  L’algebra, quindi, esige il mangiare fine e mangiare grosso, essere gourmet o gourmaund, insomma, il conto è una abbuffata di sassi o, ben che vada, di sabbia: questione di erotismo, non già di sessualità.

Il fantasma schizofrenico abbocca al linguaggio naturale, quello tagliato su misura nell’algebra della pasticca, quello che può amministrare e gestire meglio, perché la Cosa funzioni: naturalmente s’intende la funzione come soluzione finale.

Il Divino è senza Dio, l’umano è senza l’uomo, questo il sistema ben amministrato e compartimentato del dogma gnostico. C’è un dio inferiore e uno superiore, e nel mezzo, per estensione, il purgatorio. La terza classe, il terzo ceto, il ceto medio, il cittadino che partecipa al giudizio, aggregandosi, accodandosi, appecorandosi. La massa trova, nella festa, il banchetto cannibalico, e l’altro, è invitato sempre dopo che Abramo ha massacrato Isacco.

Ecco la dietetica entro cui, lo stesso Jacques Lacan, rimane apparecchiato sulla tavola della sua topologia: cercare la soluzione all’albero della conoscenza del bene e del male, la conoscenza topologica, quel ramo del sapere universale, attraverso la conoscenza stessa, appetisce, sia l’algebra che la geometria, portando entrambe, piuttosto che alla comunicazione, piuttosto che all’alingua, a erigere la torre di Babele. Quella torre che toccherebbero il cielo, mentre, il cielo, scenderebbe sulla terra per farsi terrestre.

Si tratta, quindi, di geometrie del linguaggio; topologie di ciascun organo, dove, per dirlo con il mito greco, Zeus avrebbe lanciato una saetta, quindi una verticale, dal cielo, dividendo l’uomo dalla donna, il corpo dalla mente, in maniera algebrica, fintato da dividere ciascun lacerto di carne, rendendolo polvere di sabbia.

Questo, il deserto dei sensi, dove l’Altro non c'è più.

Il fantasma schizofrenico è il camaleonte, da Zelig: le vite possibili. Vivere più vite, gestire più mogli e più mariti; amministrarli e compartimentali, perché tutto sia chiaro e inteso. D’un intesa naturale, dove la famiglia è naturale, anche la prigione è naturale, fino al nulla naturale: la sparizione. 

La macchina del tempo del fantasma schizofrenico, quindi, è la telepatia. Il linguaggio si trasmetterebbe senza equivoci, senza menzogna, senza malinteso. Tutto passa chiaramente, anche il dolore passa, fino alla vivisezione, quale indossabilità del taglio. Indossabilità del marchio: il vestito su misura.

Concludo con una parodia come modo dell'apertura tratta da -La gita- di Krishna:

“Io sono il tempo, io sono l’Altro”  

Francis

(In riferimento agli scritti di Giampaolo Lai, intorno la schizofrenia)

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