domenica 11 marzo 2012

"Pulp" di Charles Bukowski... storia di pallottole, donne fatali e nostalgia...


Charles l'ubriacone, il beone da taverna, il genio, l'alcolizzato, il pittore di una fetta di società rattrappita e accartocciata - esattamente come lo era lui - a un angolo di una strada. Meglio conosciuto come Hank, detto anche Gambe da elefante. A metà strada tra un genio e un fallito. Il vecchio Bukowski ha finalmente ritrovato la strada di casa, messo a tacere i suoi demoni, le insicurezze trascinate dietro - come lo strascico di un vecchio vestito malmesso - per tutta la vita. Uno di quegli scrittori che non ha fatto altro che parlare di sé. E quale errore più grande, per uno scrittore, che mettere al centro dell'attenzione il proprio ego (in maniera esplicita si intende). E' come un uomo, che al suo primo appuntamento, non fa altro che parlare di sé stesso. Diventa noioso, appare come uno nevrotico che sente il bisogno di esternarsi, di risolvere i propri conti con i conflitti inconsci ansiogeni del suo io. Eppure lui piaceva - seppure il successo sia giunto in età avanzata - la gente comune, i poveri diavoli ci si rispecchiavano. Non vedevano dinanzi a sé un artista distante, un intellettuale pomposo e arrogante, un letterato rinchiuso nella sua erudita gabbia di cultura che di solito viene negata alla maggior parte della gente comune. Ma un eroico perdente, un uomo fidato, con cui poter scambiare quattro chiacchiere davanti a un boccale di birra, l'intellettuale dei derelitti e degli incompresi di tutto il mondo. Certo, sempre se non gli saltava la mosca al naso, per decidere di punto in bianco di mandarvi a fare in culo. O addirittura di prendervi a botte sul retro di un locale di infimo ordine. Come un vero boxeur, un combattente della strada, come il vecchio Hemingway, il più duro dei duri tra i letterati. Sempre pronto a combattere, ad afferrare la vita con i denti per farla sanguinare, per non essere "come tutti gli altri", per cercare di vivere la vita ogni giorno, per sentirla ruggire dentro, per ingannare la morte nel miglior modo possibile, per non lasciarsi anestetizzare dalla "non vita". "Vorrei essere seppellito vicino all'ippodromo, per sentire la volata sulla dirittura d'arrivo"... colui che si è preso gioco della morte fino alla fine, perché l'unico modo per raggirarla, per trattarla da vera puttana, è quello di stuprarla con l'arma dell'ironia, di  vivere la vita minuto per minuto, senza mezzi termini o mezze misure, per non rischiare di impazzire definitivamente.
Bevitore, scommettitore incallito e animale randagio... e dopo tutto questo è venuto forse il momento di riposarsi, di mettere da parte sé stessi e di ricercare qualcos'altro. E alla "veneranda" età di settantaquattro anni, scrive il suo piccolo testamento letterario, la sua perla, distante e allo stesso tempo vicina alla sua poetica, che si riappropria di un genere romantico appartenuto a un epoca ancora più romantica, ma senza mai tradire il suo stile e senza mai perdere di vista gli aspetti più autobiografici che hanno da sempre contraddistinto le sue opere letterarie. Parliamo di "Pulp", il suo ultimo romanzo, forse uno dei più ironici e romantici, e forse il più diverso proprio perché quello meno autobiografico.
 Come suggeriva la più famosa opera di Quentin Tarantino, "Pulp Fiction", all'inizio del film, con la sua definizione da dizionario: Pulp/1. Un morbido, umido ammasso di materia senza forma.
                                              2. Una rivista o un libro contenente un argomento scandaloso e
                                                  generalmente stampato su carta ordinaria.
Storie di sesso e violenza fine a sé stesse. Di gangster e donne fatali. Pagine macchiate di sangue  e di affari loschi. Quindi ecco Bukowski cimentarsi nei sottogeneri dell'hard boiled, il pulp, quel genere di storie che andavano tanto in voga negli anni '20/'40 del secolo scorso. Nel mondo di bulli e pupe, vecchi investigatori privati perennemente attaccati alla bottiglia, con la sigaretta sempre pendente dalle labbra e il cappello a tesa larga calato sugli occhi. Ruvidi e inflessibili, dai modi spicci e sbrigativi, ma che si sciolgono di fronte al fascino felino di una bella donna.
Nick Belane, "l'investigatore privato più dritto di Los Angeles", figlio di tutti i Sam Spade e i Philip Marlowe, gli uomini "dal whisky facile" (a voler scomodare Fred Buscaglione) e la pistola sempre alla mano, (solo che le creature di Hammet e Chandler, al contrario di quella di Bukowski, si prendevano decisamente troppo troppo sul serio), è il protagonista di questo romanzo. Per cui, come è facile immaginare, si troverà a intraprendere e a risolvere casi assurdi, al limite dell'allucinatorio (soprattutto se a guidare la storia è la penna di Bukowski), tra donne fatali, alieni e  mariti infedeli. Ma la vera protagonista del romanzo è la morte, (un macabro preambolo, visto che l'autore morirà pochi mesi dopo il completamento dell'opera) che qui compare sotto forma di affascinante donna dalle forme prorompenti e straripanti, la quale chiederà al vecchio Belane ( alter ego dell'alter ego di tutte le storie di Bukowski: Henry Chinaski), di ritrovare il vecchio poeta, ormai morto, Louise-Ferdinand Céline, che, quasi come uno zombie letterario, sembra essere ancora in giro vivo e vegeto. E poi il tragico epilogo, che, considerata l'imminente morte dell'autore da lì a pochi mesi, ci dà quasi da pensare che tra Bukowki e la morte sia da sempre intercorsa un'intesa, un accordo segreto, una sorta di patto Faustiano.
"Pulp" è un affascinante riscoperta di un genere di altri tempi, dove l'ironia e la sgangherata visione di una vita portata oltre ai limiti, tipica della poetica Bukoskiana, di sicuro non mancano, ma è anche il testamento letterario di un grande autore, forse poco apprezzato dalla critica accademica, ma che di sicuro ha saputo donare speranza, e forse anche qualche sorriso, a chi una speranza e un sorriso, nella vita, non li ha mai ricevuti.

- Amedeo 'Vincent' Di Luna - 

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