Sulla lettura del
romanzo del 1964, ma pubblicato in Italia solo trentatre anni dopo, nel 1997, -The
Simulacra – I Simulacri (edizione TIF, 7.90 euro), Philip Kindred Dick dona
una descrizione talvolta paradossale, talvolta originale, degli anni della politica
dell’America Kennediana in soluzione fantascientifica.
L’artificio originale è
quello di dio in provetta. In soluzione. Ma la solubilità di dio risulta troppo
diluita, e lo scacco algebrico fa acqua.
La coerenza, che vuole essere
sfuggevole per la sua narrazione frammentata -frazionata- non si trova nella
trama come già data, ma nella costruzione propria di quest’ultima. La bottega
delle esperienze, dei tratti, delle cifre, quadrano l’infinita parola
fantascientifica.
L’autore immagina una fusione topologica tra l’Europa e gli
Stati Uniti, diventati USEA: Stati Uniti d’Europa e d’America, nati dalla
fusione in piena Guerra Fredda tra gli Stati Uniti e la Germania. La Germania
di Adenauer.
Dick pare da subito tagliato per la politica, per l’araldica
della politica, infatti a capo di questa grande fusione c’è la First Lady
Nicole Thibodeaux. Una donna di elegante finezza, di un infinito sapere, che
presiede i cuori di ogni buon cittadino fedele.
La sua impresa, nella sua
imperiale funzione, è quella di gerarchizzare, manipolare e educare i suoi
fedeli a reti unificate, e il personaggio in cerca d’autore fugge, trovando
come unico punto di fuga, l’Universo.
L’emigrazione su altri pianeti,
naturalmente risulta, per ognuno e in ogni modo, proibita da sua maestà
gourmet. E così, la paura per il grande giudice, mette a dura prova quelle
poche anime temerarie, lasciando di resto la maggior parte dei cittadini a
spettacolarizzare, in un talk show, la propria arte e passione.
Ma l’osceno deve ancora arrivare, il Simulacro, Simula-crum che
simula, si deve ancora rappresentare. Deve ancora volgere la sua riproduzione
tecnica. La riproduzione di se stesso, la copia esponenziale della logia e
della gnosi del suo corpo. La trascrizione rigorosa del sogno Laplaciano è la
conoscenza del tempo di un istante, dove il corpo può essere infinitamente
immortalato nella sua completezza. La completezza del soggetto, quello che si
sveste o si veste, secondo l’occasione, in Nome del Padre.
La questione si fa
simbolica. Sergio Benvenuto in La gelosia –edizione Il mulino- scrive
della madre: “la madre è geneticamente programmata”, lei dà l’imprinting.
Così, distinguendo al meno quattro fasi dell’attaccamento madre- macchina, l’unica
differenza sembra essere il fine. Lo scopo. Nella macchina dice Sergio
Benvenuto, la riproduzione ha uno scopo, mentre la macchina vivente (l’uomo
incluso) non ha scopo. È senza gravità. È l’uomo che deve solo godere della
quantità che il mercato dona. E i droghieri del globo propinano due soluzioni
alchemiche, il corpo senza organi quello di Artaud e il corpo disunito –fratto-
di W. Benjamin che scrive, a proposito del funzionamento dell’inconscio, d’inconscio
istintuale. Forse era riferito a un istinto suicida.
E così nasce il
simulacro collettivo, dove l’organismo è animato da un sovra ordine simbolico,
che da il via a un metabolismo gnosologico e alla capacità di trasformare il
cibo e i liquidi. Il mantenimento del tono è solo muscolare e il talento è solo
meccanico. Le buon’anime fedeli sono condannate nel girone della lussuria, dove
non mancano fatica e sonno, che, grazie alla fabbricazione di virus, di mercati
di virus, in provetta, gli stati psichici trasmutano secondo prescrizione
medica. Insomma un vero e proprio noi stessi, la cui interfaccia chimica
rappresenta l’immaginario di un corpo “immortale”.
Cancellando il confine tra
natura e cultura, tra il dentro e il fuori, tra l’interno e l’esterno Philip
Dick, indotto da una droga divinizzata sovverte le istanze logiche, e orienta
il suo occhio oltre i limiti dei modelli sistemici, proiettandosi nella
galassia. Ma il contrappasso è tecnico e la cronologica è potenziale.
I
dinamismi sono sempre gli stessi, la taglia è sempre su Dio/Gene.
Un Dio non
dio. Un dio divinizzato.
La demitificazione porta alla divinazione del
discorso. Il discorso è sempre quello dell’Altro. Dal Guru, - il santone-, fino
all’uomo New Age, il Profeta. E su questo principio di ragione la beatitudine è
sempre nella genetica della pasticca. Ma l’artificio è la quadratura del
cerchio artificiale/naturale. Il dispositivo è intellettuale. La parola è
fantascienza. La cifra è simula- crum l’esperienza/strumento vitale. L’agirArte,
l’artificio, è il secondo rinascimento. L’ateismo e il teismo, il teofagismo
scrive Giancarlo Calciolari, è di Madame Gourmet la cui anoressia mentale la
trascina a divorare i cuori dei suoi cittadini. La sua parola è infernale. Il
desiderio di avere gli animi delle persone svela la sua finezza culinaria. L’anfibologia
della sua bocca predilige le autostrade midollari, spinali e venali, con un
particolare accento sulle pulsionali. La sua epoché segna il conto delle ore di
trasmissione e manipolazione genetica. Una questione di principio che
stabilisce una linea dell’effettivo problema. La vita contro il sapere. La vita
divina e il sapere divinizzato. Il problema è filosofico?
La conoscenza, il
sapere supposto nell’altro, trova soluzione nella batteria del pensiero comune,
che esclude il terzo. L’altro. Al quale, se io è l’altro, all’altro s’impone la
legge della divina concessione. Amen. E così la First Lady Nicole Thibodeaux
gioca sull’etichetta piuttosto che sull’obbligo della sua etica. Lei si diverte
a esibire il galà della cera, la geometria dell’imago, l’oscenità della
sembianza. Il sistema teofagico è decisamente formale e logicista: di riduzione
logica; quella di Russell, che intendeva ridurre tutta la matematica in logica.
La cera è il dispositivo d’apertura.
L’ateismo è il Pharmakon moderno.
L’altra faccia del teismo. Una faccia della stessa medaglia. L’UNsieme. È l’uno
che si divide in due nell’infinito duplicato del duplicato, fino a inghiottirsi
da solo. La bottiglia di Felix Klein o -il nastro di Möbius-. Una bottiglia non
orientabile, dove non c’è più dentro o fuori. Bene o male, vero o falso. È la
bottiglia del nulla. Del dio che non accetta né l’uno né il due, perché sia l’uno
che il due sono troppo sostanziali/materiali. E così Philip Dick parte per l’Universo.
Per l’insieme. Per la comunità. Per essere la sostanza di una nuova civiltà su
Marte dove, in una notte di giubilo, si muore di nulla. Di un vuoto
incommensurabile. La medicina…, il Pharmakon moderno? La potenza
sessuale. La rimozione del nome che rende divina alchimia sessuale. Ma il
paradosso per i simulacri di unità oscene è che 2+2= 4. La quadratura è
di ciascuno. È politica, ma non è la politica di ogni simulacro. L’astrazione è
necessaria e l’artificio intellettuale.
Francis
Francis
Una vecchia nota di rilettura.
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