sabato 17 marzo 2012

La lingua savant

Il rapporto che ho con la lingua è estetico, nel senso che trovo alcune parole o combinazioni di parole particolarmente belle e stimolanti. A volte leggo e rileggo una certa frase per le sensazioni che suscita in me. I sostantivi sono le mie parole preferite, perché sono le più semplici da visualizzare. Ho un ottima memoria visiva, e quando leggo una parola o una frase chiudo gli occhi e la visualizzo, dopodiché la ricordo perfettamente. Vi sono alcuni aspetti della lingua che trovo più problematici di altri. Le parole astratte sono molto più difficili da capire per me e ho un'immagine mentale di ognuna che mi aiuta ad afferrarne il significato. Ad esempio la parola “complessità” mi fa pensare ad una treccia di capelli con varie ciocche che formano un insieme composito. Allo stesso modo la parola “trionfo” evoca nella mia mente l'immagine di un grande trofeo dorato. Se sento parlare del “trionfo elettorale” di un politico, immagino quest'ultimo che solleva un trofeo sopra la testa come l'allenatore di una squadra di calcio. Alcune strutture sintattiche sono particolarmente complicate da analizzare per me, come: "non è inesperto in queste cose", dove le due negative (non e in) si annullano. Da bambino trovavo decisamente oscure le espressione idiomatiche. Quando sentivo che qualcuno aveva del fegato pensavo: ma non lo abbiamo tutti il fegato? […]
Da bambino accarezzai per anni l'idea di creare una lingua tutta mia per alleviare la mia solitudine e godere del piacere che provavo giocando con le parole. A volte, quando sentivo un'emozione particolarmente forte o mi trovavo di fronte a qualcosa di molto bello, nella mia mente si formava spontaneamente una parola nuova che non avevo idea da dove venisse. Allo stesso modo, trovavo spesso al lingua dei miei coetanei stridente e confusa. Venivo preso in giro perché usavo frasi lunghe, accurate ed eccessivamente formali e, quando ricorrevo a uno dei miei neologismi per esprimere ciò che sentivo, non venivo quasi mai capito. I miei genitori mi dicevano di smettere di "parlare di modo strano". Malgrado ciò, continuai a sognare che un giorno avrei parlato una lingua tutta mia che mi avrebbe aiuto ad esprimermi compiutamente e che non sarei stato preso in giro o rimproverato per il fatto di utilizzarla. Quando smisi di studiare mi resi conto che avevo il tempo di perseguire seriamente quell'idea. Scrivevo le parole che mi venivano in mente e sperimentavo diverse possibilità di pronuncia e di costruzione delle frasi. Battezzai la mia lingua "manti" dal finlandese “manty” che significa pino. Molte delle parole del manti sono di origine baltica e scandinava cosi come i pini sono originari dell'emisfero boreale e sono particolarmente diffusi in Scandinavia e nella regione baltica. Ma c'è un altro motivo per la scelta di questo nome: i pini crescono spesso insieme in grandi gruppi e simboleggiano l'amicizia e la collettività.
Il manti è provvisto di una sua grammatica e di un vocabolario composto da oltre mille parole, ed è in continuo divenire. Ha attratto l'interesse di numerosi studiosi del linguaggio che ritengono possa contribuire a far luce sulle capacità linguistiche che condivido con altri savant.
Uno degli aspetti che amo di più di giocare con la lingua è la creazione di nuove parole e idee. Nel manti cerco di fare in modo che le parole riflettano i rapporti fra cose diverse: “hamma” (dente) e “hemme” (formica, un insetto che morde) e “rat” (cavo) e “ratio” (radio). Alcune parole hanno significati multipli e correlati: “puhu”, ad esempio, può significare vento, respiro e spirito.
Il manti possiede molte parole composite: “puhekello” (telefono, letteralmente “campana parlante”), “ilmalav” (aeroplano, letteralmente “nave dell'aria”) “tontoo” (musica, letteralmente “arte del tono”) e “ratalo” (parlamento, letteralmente “luogo di discussione”) .
Quanto ai termini astratti, vi sono diversi modi per esprimerli. Uno è la creazione di un composto: il concetto di ritardo si traduce con “kellokult” (letteralmente “debito di orologio”). Un altro metodo consiste nell'utilizzare coppie di parole, come avviene in estone, lingua appartenente al ceppo ugro-finnico. L'equivalente del manti del termine latticini è “pimat kermat” (latte e panne); quello di calzature è invece “koet saapat" (scarpe e stivali).
Sebbene il manti sia molto diverso dall'inglese, possiede molti termini facilmente riconoscibili dagli anglofoni come “nekka” (collo), “kuppi” (tazza) “purassi” (portafogli) “noot” (notte) e “pepi” (bimbo). Il manti è l'espressione tangibile e comunicabile del mio mondo interiore. Ogni parola, con i suoi colori e la sua consistenza è per me un'opera d'arte. Quando penso o parlo in manti è come se dipingessi con le parole. [Da Nato in giorno azzurro, Daniel Tammet]

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