mercoledì 25 aprile 2012

L'Uno, i racconti e la fantasia

[Continuazione]

"Mi aveva subito affascinato l'immagine costruita da Giulia, della fanciulla insanguinata e del suo compagno, entrambi immobili davanti alla finestra. Continuavo a pensarla e a ripensarla. Anzi, a guardarla e riguardarla ancora da tanti punti di vista, catturato dalla straordinaria presenza visiva dei due giovani, lei a sinistra, così mi si presentava di spalle, le due chiazze grandi di sangue appena al di sotto della cintura alta del vestito bianco lungo fino ai piedi, lui di profilo, gli occhi fissi sul volto dell'amata, senza alcun segno di turbamento, e sullo sfondo, oltre la finestra, le colline, verdi con gli arbusti gialli. Il fascino esercitato su di me da questa immagini derivava mi sembra dal contrasto tra lo strazio del corpo della fanciulla, ferito e sanguinate e l'immobilità delle forme perfette dei due amanti fissate in una bellezza estatica non toccata dal movimento del tempo e delle emozioni. O anche dall’ambiguità percettiva di due scene in sovraimpressione. Una scena di idillio trasognato di due giovani accanto ad una finestra, solo a cancellare le rosse chiazze di sangue dal vestito bianco della fanciulla, diventa immediatamente, appena si restituiscono le macchi all'abito, una scena surreale in cui una donna fa come se non fosse stata colpita a morte e il suo compagno ugualmente fa come se non vedesse il corpo che non può non vedere dell'amica ferita e sanguinante. Mi sembrava che questa immagine fosse riuscita a catturare, per poi trasmetterlo in linee semplici e straordinariamente esplicite, l'impatto delle vicende narrate da Giulia negli ultimi tempi. Quattro mesi prima della conversazione sopra trascritta, Giulia era stata operata di un tumore addominale. Successivamente, e il trattamento continuava al momento della nostra conversazione, Giulia era tata sottoposta ad un ciclo di irradiazioni sulla zona sede del tumore asportato. La morte, la morte del corpo, il corpo ce dà la morte, la rabbia, la sfiducia, l’impotenza di uno specchio senza rampini, lo stupore incredulo, il rammarico, il piagnisteo, il gioco breve della sfida sprezzante, il coro antico e il melodramma che avevano occupato, senza però dilagare, almeno non sempre, parte delle ultime conversazioni. Anche in questa su cui discutiamo, Giulia l'aveva aperta parlando di un freddo ai piedi, di noia, disperazioni, di morte, da dare e da ricevere, nella forma del rifiuto scomposto culminante al grido al terapeuta: "uccidi o mi uccido." Invocazione che potrebbe anche dare il titolo alla scena iniziale. Mentre il titolo appropriato per la scena degli amanti suonerebbe piuttosto: Come niente fosse. Da questa scena proveniva il rimprovero della fanciulla al compagno: "Io sto morendo e tu non fai niente per me." E nello stesso tempo giungeva la gratitudine verso l'amante: "Tu vedi il mio corpo straziato, ma non aggiungi inutile sofferenza mostrando la tua disperazione." O anche l'esortazione della fanciulla a se medesima: "Non è il caso di fare tante storie per una ferita o per una morte." Le stesse parole, ed altre, il terapeuta aveva sentito provenire a osé, da se stesso e da Giulia, nei giorni passati, come ora le sentiva provenire dai due amanti alla finestra. Si era occupato troppo, quando non era il caso, o non abbastanza quando sarebbe stato necessario del corpo ferito di Giulia? Aveva fissato con una indebita pena gli occhi sul sangue e sulla morte quando Giulia implorava di non essere vista, oppure aveva fatto come se non ci fossero il corpo, il sangue, la morte, quando al contrario Giulia aspettava il lenimento del compianto condiviso? Era di rimprovero il cenno che ora Giulia gli indirizzava, perché non si occupava del suo corpo avendole chiesto di raccontare una favola o di gratitudine perché mostrava di non vederlo?" [Disidentità, Lai Giampaolo]

Due amanti alla finestra, una donna ferita a morte e un giovane osservano l'orizzonte in lontananza e due amanti in una stanza, una donna stesa sul divano, l'analista alle sue spalle che conversano mentre i loro corpi stanno morendo. 
Le simmetrie dell'universo, dell'universo discorsivo di Giulia, della sua favola, e l'universo dove i corpi di Giulia e il conversante abitano uno spazio e un tempo preciso. Isomorfismi e parallelismi dell’inconsapevole disegno che parla attraverso il corpo, attraverso le parole, attraverso l’uomo, i popoli e le nazioni.
Un disegno che trascende la vita individuale e che connette le nostre storie a trame collettive, costituite su discorsi e metafore che sono copertura d’altro che sfugge all’individuo e che la clinica può concorrere a dipanare.
Oltre il velo del linguaggio, che nasconde ciò che vuole rivelare, che riempie gli spazi interstiziali della coscienza e la sostiene dandogli sostanza c’è quello che soltanto a nominarlo se ne tradisce l’essenza.

Riccardo

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